nacqui nel morire
nella picchiata perenne
e nel rischio
del soccombere
una compressa bianca
per appiattire le onde
scongiurare la crisi
allontanare i sussulti
dilantando pupille
appannando i riflessi
e poi di nuovo
pillole colorate
contro la distruzione
delle stesse mie fibre
una macabra dipendenza
dalla non-morte
sopravvivenza strappata
al liquido del tempo
un continuo lottare
in perenne farsi largo
per trovare lo spazio
per piantare i piedi
in un pianeta affollato
quanti oggetti
ho collezionato
come gazza avida
per lasciare un’impronta
per ingombrare
ho visto la morte
stagliarsi in un teschio
contro mattonelle azzurre
e avere pena di me
fu come una scossa
in una notte di aprile
quando i tessuti
si contaminarono
cellule infiltrate
tra organi interni
fecondando di morire
e attivando il countdown
svegliato dal trapano
il cui suono
non riuscirò mai
a coprire con la musica
che da sempre
mi riempie
e quando il mondo
sembrava finire
quanti liquidi ho sparso
e quanti raccolti
incurante dell’etica
quanto ho sperato
nell’estinzione
nella malattia
il decadere del tempo
la fortuna di una civiltà
il lusso dello spettatore
trascinato dentro le trame
di un finale tragico
sacrificando fratelli
madri e padri
mi sono chiuso
calcificato
in un'autarchia
di affetti
mi sono steso
al fianco di una morta
aspettando il mattino
per finire il Lambrusco
per realizzare
che mai più
avrei sentito storie
da una terra il cui nome
mi sembrava maculato
come le pelli
di bestie selvagge
ma io quella voce
la sento ogni notte
cristallina e profonda
rauca e ubriaca
e ad ogni passo
sotto quei portici
è una preghiera
ad una dea
pagana e nera
e ogni sigaretta
è dedicata a lei
una voce che porto
ad ogni passo
e quando indugio
su quel portone
le ciglia si toccano
e lì
sento l'odore
e il morbido
delle sue labbra
i miei luoghi
li ho incapsulati
in sfere minuscole
e poi ingoiati
e bologna
l’ho consumata
e mi ha consumato
ho raschiato ogni intonaco
e quali meraviglie
ho rivelato
quanti affreschi macabri
ho restaurato
e non ho mai voluto
ricoprire il brutto
seppellire il dolore
o ignorare il soffrire
ma li ho saputi elevare
a malinconia
a poesia
li ho intrecciati
con ciò che è più bello
perché così so fare
perché così
al mattino
posso dormire
e quando la torre
è stata espugnata
ho ceduto terreno
al mio nemico
e abbandonerò
la mia nazione sconfitta
che lui
sta issando bandiere
sopra i miei luoghi
non più da difendere
e cedendo
sempre quel terreno
io mi ritiro
verso fiordi
umidi e freddi
infine
solo miei
sto remando piano
ma un giorno arrivo
(che poi prima
non era tempo)
ma io già vedo
una baia lucente
di fari specchiati
su un porto del Nord
terra strappata
ancora una volta
al mare gelido
dove anche il giorno
come me
non ha compromesso
sul tutto o il niente
la notte è incessante
e l'estate accecante
spaccato a metà
come me
tra luce e buio
dove il cielo è di neon
e le particelle si schiantano
lucendo e brillando
come ho fatto io
innumerevoli volte
terra di scorribande
di violenza e razzie
dove gli dei
sono mortali
e poi una notte
su un letto viola
ho perso la ragione
e non l’ho più trovata
fu l’ultimo pianto
cruciale e lacerante
mentre un bisbiglio sinistro
si insinuava nelle orecchie
e mi assordava per sempre
e da lì cominciò
un grido perenne
uno schizzo di sinapsi
un embolo di rabbia
e poi contraffatto
scopiazziato e imitato
infine sovrascritto
e sostituito
ma io conservo
la matrice
io solo sono
l'atomo primario
la particella
dell'origine
ma io non gareggio
io non competo
io non sto nel mezzo
e soprattutto
non sono lo scarto
del riciclo
di me stesso
e mi defilo
tanto so
che lascio un vuoto
che niente
e nessuno
può più riempire
è il mio pedigree
il mio lignaggio
la mia schiena dritta
e le mia braccia alternate
nella mia marcetta buffa
ma così decisa
il mio incedere saltellante
da bestia fantastica
che sta per spiccare
no
io non lotto
per cosa non merita
io abbandono e calpesto
e poi vado via
e non importa
il soffrire
il morire ogni notte
io lo pago
per le mia integrità
per la mia sola coerenza
e quanta fierezza
quanto orgoglio
quante spalle
so mostrare
non ho mai perdonato
nessun tradimento
al punto
da dimenticare di amare
ho visto piangere
molti occhi
e a nessuna lacrima
ho mai creduto
e una notte di febbraio
sul cemento di un’isola umida
ho restituito il colpo
lasciandolo in ginocchio
non voltandomi più
ci sono corpi
che ho seppellito tardi
coprendoli col telo
di una tregua apparente
ma sempre ritorno
a finire il lavoro
per chiudere tutto
per tumulare
che niente
io lascio scoperto
niente
deve rimanere
sotto il mio sguardo
ho avuto corpi
e a tutti, innumerevoli
ho lasciato troppo
svuotando me
è la luce di un lampo
che illumina il buio
il tempo dell'esitazione
e il tornare del nero
una scintilla di amore
nel pozzo degli occhi
il tempo di un amplesso
e di nuovo il rancore
maledetto
dalla mia stessa bellezza
sempre incatenata
nei loro occhi
e ormai rassegnato
all'incuranza
per le loro esistenze
collezionando vite
spremendo cervelli
fino alla follia
fino all ossessione
“non so se baciarti
picchiarti
o piangere”
ma ripasso
anche dopo anni
senza sconti
e senza rimorso
per fare giustizia
per esercitare
l’espiazione
ed è sempre una croce
che conficco sui petti
è una riga tracciata
per depennare nomi
ed intere esistenze
e ritornerò
anche qui
per sovrascrivere
per bruciare la terra
ho fuso una sfera
una biglia di odio
così nera e rappresa
ultradensa di rabbia
infinitamente greve
e l’ho stretta nel pugno
finché ho potuto
ma quando
la data è venuta
ma quando ho sceso
dal decimo
fino al primo scalino
è esplosa
scoppiata
senza fragore
ed espandendosi
ha macchiato i muri
inglobando cose
corrodendo il bene
digerendo
le rimanenze
e da questa poltiglia
io sono riemerso
dimentico e immemore
di ogni residuo
di amore
e da lì
ho potuto arrancare
e scivolare di nuovo
nei giorni
dopo i giorni
ed ecco allora
che ho imparato a restringermi
dentro il mio corpo
fino a perdermi
nelle mie membra
diventare goccia
staccata dal petto
in caduta giù
al centro esatto
del mio piccolo fisico
e da lì
ho iniziato a spalare
e a lisciare pareti
una patina impermeabile
che scivoli tutto
che niente
rimanga impregnato
e quante volte
ho sfidato gli specchi
fissando i miei occhi
cercandone il fondo
e quanto la mia carne
mi è sembrata non mia
fino a quel punto
dal volermene disfare
svestirmi di un corpo
che non riconosco
che è stretto
e sentire la pelle
tirare
sulle ossa
tesa
su ogni organo
e quanto
tutto quel dentro
sembri voler sguisciare
come budella sventrate
nel macello
e so anche uscire
e vedermi da fuori
so lasciare il mio corpo
abbandonato
impolverato
in un posto sicuro
per poi tornare
e reindossarmi
nel formicolio delle carni
ma io non so
perché non invecchio
o perche
sono sempre più bello
senza un ritratto
nascosto da un drappo
ma lo intuisco
che esiste
una contabilità
una partita doppia
e da qualche parte
dovrò pur marcire
e decadere
il nero e la fatica
la solitudine e la rabbia
mi hanno rinvigorito
e donato fascino
e allora il sorriso
è sempre più raro
e quindi più bello
uno squarcio bianco
un fiore schiuso
una notte all'anno
e sempre allo specchio
mi accorgo di essere
della stessa materia
del silenzio
quell'inestimabile
che ripesco dai reni
fino a riportarlo su
traspirandolo
oltre la pelle
è di silenzio
che sono fatto
e nel silenzio
voglio esistere
ed è pieno di tutto
è pieno di me
e mi descrive
più del mio viso
è il silenzio
che è divenuto materia
ha tessuto la pelle
riempito le vene
e illuminato i miei occhi
dandomi forma
e muscoli
ed è assordante
è pesante
è così imponente
che paralizza
e dopo di esso
più niente
conta
ed è nel silenzio
che riesco ad amare
che per il mio amore
non esiste parola
il mio silenzio
il mio amore
è come un pianeta
totale e completo
un ecosistema
in vitro
è come
la frescura d’estate
è come la nebbia
è umidità
che ingloba e riempie
il mio amore
non lascia mai
i corpi abitati
per l'eterno
per il tempo che riesco
o voglio
prima di tornare
dentro di me
dentro il silenzio
e lì
davvero
finalmente mortale
eppure eterno
come il silenzio
e allora tutto
può davvero finire
e se non è il tempo
se non è ancora la fine
almeno
ho imparato
ad attendere
nel buio
nel silenzio