una falce di luna
stasera cade
stasera si taglia
che non è più tempo
di radicamento
di mescolamenti

una falciata un colpo
e cade una testa
e adesso si sa
si è sempre saputo
come tagliare
e sempre ogni giorno
ogni minuto 
di castrazione 
è stato scegliere

ed è questa
l’enorme
maledetta
differenza

e chi vuole
che il tempo guarisca
che legge scritta
impone l’anestesia 
quando si tentava
una rianimazione
iniettandosi a forza
tra tessuti non miei

e sempre più chiusi 
sempre più oscuri
incanalati 
verso il rancore
avvelenati da dentro
fino a sudarlo

sempre ritorna
ciò che si è stato
in un onda umiliante
una folata di schegge
e non ci si sposta
e attraversa i corpi
ma lascia sempre
una traccia

converte le cellule
in cancro
secca gli organi
e li fa sabbia
e in questo processo
si rimane a guardare
abbassando lo sguardo
interessati a scoprire
incuriositi
dal proprio restare
da carne 
a bit
da pelle 
a pixel
da analogico
a digitale

evaporato
transustanziato
al contrario
da corpo
a spirito

ho ereditato
un lutto
e non so
che farmene
un velo nero 
di volgare
pudicizia 

ma io
voglio scoppiare
voglio esagerare
bianco o nero
io sono 
l’eccesso

ma io
rifuggo il banale
il dolore dettato
lo stantio 
il patetico
la simulazione
della morte

e assunto
alla volta dei beati
divento mito
divento culto 
asceso al cielo
diventato astratto

perché anch’io
come i morti
come le salme 
degno di preghiere
e riti
finalmente oggetto
di adorazione

ed è lì 
che voglio stare
riprodotto 
come una madonna
come un cristo
cattolico
incastonato
in un cameo
in un anello

perché di pagano
non hai niente 
perché appellarsi
all’idolo di turno
infine non basta
o no?

c’è forse un dio 
per ogni cosa
ogni occasione
ma alla fine
si è soli
e le preghiere 
ci ritornano
sempre

e tutti quei fumi
quegli incensi
dove pensi salgano
se non sul soffitto
addensati
e stagnanti
che poi respiri
mentre dormi

e allora evaporo
come fumo
come ex liquido
mi faccio di aria
ma ristagno
e sono lì
in compagnia
degli altri morti 

e lì
nel mio aleggiare
io ti osservo
io ti vedo sempre
io lo so
cosa fai
e nel mio pensare
ci sei sempre

nel mio fare
io ti racconto
di musica nuova
di nuove evoluzioni
ma sono qua
nella cantina 
della tua mente

e sono niente
eppure tutto
un quadro che invecchia
una replica di me stesso
masterizzato
matricizzato

sono l’immagine
dell’amore
che mai
ti saresti concesso
eppure ero io
eppure
ero tanto

e il mio muovermi
non era più vero
non era più io
non era abbastanza
vivo
o morto
o mito
o culto
e se non è nel grigio
che io trovo ragione 
non è nemmeno 
nel bianco
e anche se è di nero
che scrivo il mio corpo
con macchie di inchiostro
di simboli magici
e poesie antiche
nemmeno il buio
riesce a descrivermi

ma è nel viola 
che io mi bagno
di luce e ombra
di proiezioni di oggetti
stagliati sulle texture 
di pelle umana
o intonaco

nella sua ambiguità 
e nel suo indefinito 
io ho trovato
una specie di pace 
che è anche condanna

e non capace
delle sfumature 
come di estremi
(mai totalmente)
mi compiaccio
del mio caldo
e del mio freddo

perché sono il colore 
che non sceglieresti
per nessun oggetto
tinta o inchiostro
eppure sono il tono
della magia
e del mistero

ma sempre ti fermi
quando lo scorgi
quando gli occhi 
scivolano sulla noia
e sono strano
non ti piaccio 
ma forse si
non sapresti poi dire
ma in fondo
ti attiro

e se ti concentri
puoi sprofondarci
e chiederti perché
sembra sia sempre esistito
eppure estraneo
e fuori posto

ed è per questo 
che l’ago della bilancia
per me
non sta mai nel mezzo
da me
le coppe
non sono mai eque

e c’è una bellezza 
in questa disgrazia 
un eterno morire
prolungato e distillato
che sa di tragedia
dolce e romantica
e anche
un po’ di marcire
stantio e acre

ma da qui
non si può partire
non si può
andare avanti
ma nemmeno indietro
e nemmeno
stare fermi

ho il mio spazio
un quadro atttezzato
nove aste incrociate 
e solo li
recintato
tra i suoi spazi 
posso salire e scendere
a destra e sinistra
e in diagonale
ma fuori da qui
non c’è appiglio
non c’è presa

ma quale danza
quali acrobazie
e intrecci 
so compiere 
sulle sole superfici
che sono il mio reale

è una cosa bella
e come la bellezza pura
è inetta
e sterile