Fenrir

c’erano
le mie cellule
strette e compatte
gia oppresse
sotto il peso
della mia stessa
gravità

ma sempre
c’è stata
la coscienza
del dolore
che ne deriva
il tormento di esistere
la rabbia di vivere

ma è quando una mano
straniera e pesante
spinge la pelle
la testa e le spalle
sotto il fango
che allora
ci si desta

e finalmente si lotta
ci si ribella
e allora si vuole vivere
un po’ per dispetto
un po’ perché l’astio
in qualche modo
sazia sempre
per un po’

e a niente conta
fingersi bestia
perché la natura
tradisce la posa
annulla la lotta
e allora rimani
come sei nato
destinato
ad essere preda

che non hai 
così tanti artigli
e zanne affilate
e la tua fuga
è sempre affannata
no
tu non sai
vivere fuori

perché troppi occhi
troppe unghie
sono più scaltre
e lo scatto
ti ha già preso
e accasciato giù

dominato
e pestato
trascinato
fino alla tana
smembrato
ancora vivo

e tu 
hai solo i colori
del tuo veleno
e non ti confondi
con la natura
e allora sei lì
osservato ed ignaro

ed eccolo il balzo 
repentino e fatale
e tu lo sapevi
era nella chimica 
nella tua genetica 
vorrei poter dormire
e sapere
che stavolta
mi lasci

vorrei poter andare
in un angolo
della memoria
e lì stare
dimenticato e dimentico
poco ingombrante 
e piccolo
appiattito
ad una parete

e invece dormo
che ancora mi tieni
e mi tiri
sopra il cuscino 
con la testa 
fatta pesante
e non posso scivolare
giù in fondo
nell’oblio 

spasmi e affanni
mi destano
visioni e sogni
mi abitano
voci dentro 
rimproveri
per qualcosa 
di mai fatto

e io giro e rigiro
fino a stordirmi
fino a sentire
il cervello tremare
e lì non ci sei
e lì non ci sono

ci sono 
solo le mani
prese ben salde
per afferrare 
e tenersi su 
e la mente
non ha spazio
per vezzi d’amore

per non cadere
ma per davvero
per non morire
ma per davvero