allr

di luci
bagnato

una luna
che spia

dalla musica
attraversato 

come morte
lo scivolare
come letto
il pavimento

questa sera
porta pace
inedita e nuova
somiglia a niente
che ricordi la vita 

si apre
una ferita dal cielo
un’ascesa divina
un’estasi 
nella paralisi 
scisso e dimentico
da e del corpo
rimasto per terra

benedette
sono le lacrime
nel riciclarsi
rientrando
ricoprendo pareti
di tessuti interni
colando piano
forse più dense

e giù 
più appiattito
e su
più elevato
rivendicato
dagli inferi
e conteso
dal paradiso
ma niente
spaventa più

chiudi gli occhi
testa schiusa
accogli lo spazio
della notte
senti il cielo
e infine vedi
qualcosa di più 

il velluto nero
della volta celeste
accarezza le tempie
e stanco 
finalmente
trovi il respiro
per il perdono
concesso a te
e forse chissà
anche più oltre

stanotte non conta
è priva di nomi
colpe o dolori 
tu stesso 
ti disconosci
e nel farlo 
manchi a te stesso

ma la vita
volgare e viziosa
volitiva e arrogante
torna sempre
nella banalità
nella regolarità
del sole e del giorno

ma stanotte
è ancora fuori
prepotente e orgogliosa
è esclusa

stanotte
si scivola via
si cade piano
una foglia staccata
nel buio
non vista
non sentita
in una danza 
casuale e infinita

chiuso in un uovo 
una cellula acquosa
autoriempito
autonutrito
autofecondato
chiuso e compatto

ma quanto spazio
in una caduta
che sembra salita
che sembra di stare
che sembra di andare
che sembri fisso
che sembri ondeggiare

che sembri staccato
morto
non ammesso alla vita
mai concepito

eppure hai visto
hai imparato
e a niente
ti è mai servito

solo la tua testa
che scaraventi in avanti
sotto quel portico
per vedere
se poi la riprendi
se poi la raggiungi
se poi il tuo corpo
la sa reindossare
come corona
o come elmo

ma il tuo tempo
non è di sto mondo
e misura l’infinito 
il tuo ago
non è mai nel mezzo
e pesa 
la non materia
 
sei assoluto
nell’amore
ed estremo
nell’indifferenza
il tuo bacio
è un sigillo
una cicatrice
che per sempre
rimane

come nebbia
ti espandi e inglobi
e sempre come lei
all’improvviso
ti ritiri

e tutto questo
e anche di più 
cose che torni
quasi sempre
a pensare
e a scrivere
adesso
proprio stanotte
non conta più

il blu il viola
la puntina
segue il solco
il rosso il giallo
e gira intorno
il verde l’azzurro
e vibra il torace

non c’è niente
di più sublime
di questo morire
e sai sempre 
che puoi tornare
ma adesso non vuoi
non puoi

sempre solo
ti sai bastare
sai ingoiare
la tua coda
e girare in cerchio
arginare l’oceano 
contenere il mondo

perché questo è il punto
in cui i simboli
e le parole
sono svuotati 
gli occhi e i nomi
gli abbracci e i baci
svalutati

e allora resta
rimani lì
nasconditi un po’
scivola giù
evapora su
e cerca un po’
di prendere sonno

e chissà 
che non duri per sempre
che non sia l’ultima 

kaun

che cosa succede
quando regali tutto
intere porzioni
di te stesso
pezzi e brandelli
fino ad arrivare
all’intero

cosa succede
quale processo
ti fa adagiare
su rami già secchi
aridi di linfa

è forse quel giorno
in cui una frase
ha fatto gocciare
e da una finestra
hai visto scendere
una pioggia intensa

e hai aspettato
sotto un portico
prima di correre
conservando il pianto
e regalandolo
al pavimento del bagno

e lì forse
ti sei sentito
di seconda serie
un prodotto guasto
scelto per caso
selezionato
da uno scaffale

e a chi ha detto si
ti sei donato
senza pensare
a tutto il resto
senza pensare
alle tue istanze

il sangue avvelenato
ti ha ammansito
e ti sei fatto bastare
quei sì incauti
ed è li
che hai perso te

e forse 
lo hai sempre saputo
davanti agli specchi
dove ti ammiri
e solo li
da solo e nudo
ti rivedi 
e ti riconosci

ed è li
che ti fai uscire
ti concedi te stesso
e solo li
sai cosa vuoi
e soprattutto
cosa non vuoi

e uno 
dopo l’altro
hanno preso
e tu hai dato
tutto e troppo
ma poi
sempre ti stringi

ti fai duro
e rivendichi
tutto te stesso
in una sola volta
presenti il conto
ma lo fai con te stesso
solo

e sempre ti accorgi
che era niente
o comunque poco
e che il tutto
lo hai aggiunto tu
consegnandoti
senza averne bisogno

e allora ti arrabbi
maledici il sole
e ti attrae la luna
e ad ogni notte
ti smonti 
in accecanti
particelle essenziali
tanto elementari
che però unite
rimconpattate
collassano sempre

e non sai come dirtelo
che devi smettere
che sei stato tu
a far sbattere le porte
e forse nel mezzo
di tanti rami
non hai visto un germoglio

ma non lo sai
mentre ti guardi
in fondo agli occhi
che sono voragini
fino ai tuoi reni
eppure elabori
sempre ti studi
e se allora lo sai
non vuoi accettare 

perché dirtelo
sarebbe la fine
di tutte le notti
di tutti i sonni
dei corpi avvinghiati

e aspiri alla morte
ma non per perire
ma come la somma
della stanchezza
come la resa
all’intensità

quella forza
che ti tira
giù e su
dentro e fuori
ti sventra e ti stura
ti rivolta e ti sgorga
e no
non trovi pace
perché ti distrai
distolgi lo sguardo
da quelle pupille
che sanno
hanno sempre saputo

e tu per primo 
ti sei tradito