ártíð

materializzato e apparso
nella Città Eterna
e come le rovine 
di un’epoca decaduta
hai fatto delle tue macerie
un museo a cielo aperto
della tua decadenza
ne hai fatto attrazione 
un parco a tema 
di demoni e morti
di carcasse 
disposte e ordinate
in una posa macabra
calcolata e posticcia

scheletri
di un tempo morto
capitelli e vestigia
disordinati con cura
a creare
una bellezza
tanto tragica 
quanto artefatta

la tua sorte comune
a quella di un impero
venduto e prostituito
al teatro
di un martire appeso
e la tua vedovanza
piange lacrime dipinte 
da pigmenti sintetizzati
sangue sintetico
a segnare il corpo
di un cristo
che tu stesso 
hai ucciso e crocifisso
a giustificare
la dissolutezza di un’epoca
arresa e caduta
ad un culto vampiresco 
plastico e svuotato
di vero dolore

e in questo commiato 
che ti riservo 
dopo mesi di silenzio
dopo un anno esatto
un anniversario 
che celebra
il niente di fatto
in quel giorno
sono sfrecciato
a pochi centimetri
e senza indugi
ti ho lasciato
più indietro 

è solo una storiografia
a ritroso
un ritratto
di mimato dolore
da indifferente biografo
elucubrazioni 
di una mente
che ha troppi passi
per pensare
troppa noia
per guardare il futuro
perciò ritorno
sulla mia negligenza
di mesi passati
che ormai sono secoli 
sono millenni

ma io devo sapere
cosa respingo
cosa rigetto
perché altrimenti 
perdo parti di me
che io
a differenza degli altri
non sono mai
disposto a perdere 

perché è il sapere 
di me
delle mie fibre
di tutti i miei tendini
ed è dentro di me
che sono rivolto
nel sangue
nelle viscere
nelle pastiglie
nei liquidi

e di penetrarmi
e conoscermi
non finirò mai
di studiare le immagini
per vedermi dentro
e riappropriarmi di me
della mia coscienza 
della mia musica